Sono ormai oltre trent’anni che sappiamo che stiamo andando verso una crisi climatica e ambientale e che dobbiamo ridurre le nostre emissioni. Nel 1979, si è tenuta la Prima Conferenza Mondiale sul clima cui hanno partecipato scienziati da tutto il mondo. Nel 1988, durante la Conferenza di Toronto, si chiedeva la riduzione delle emissioni di CO2 del 20% entro il 2005
Nel 1992 un gruppo di scienziati e premi Nobel lanciarono il primo allarme sullo stato del pianeta. Mostrarono come l’umanità fosse in rotta di collisione con il mondo naturale e con il rischio di un danno sostanziale e irreversibile, chiedendo di cambiare subito il modo in cui viviamo il nostro Pianeta e limitare la distruzione ambientali.
A novembre del 2017, 25 anni dopo, viene pubblicato un articolo firmato da più di 15mila scienziati che hanno lanciato un secondo avvertimento sullo stato del pianeta, proprio durante la COP di Bonn.
Negli anni seguenti, nonostante con la pubblicazione dei successivi rapporti dell’IPCC diventasse sempre più evidente la gravità della situazione, non si è riusciti a raggiungere un accordo tra tutti gli Stati per la riduzione delle emissioni: bisogna aspettare l’Accordo di Parigi del 2015.
L’Accordo di Parigi a oggi è stato ratificato da 185 Stati più l’Unione Europea, che insieme rappresentano oltre l’87% delle emissioni globali. Anche Cina, India e Stati Uniti, che insieme sono responsabili del 42% delle emissioni, lo hanno ratificato, nonostante Trump abbia annunciato di volerne uscire. Con l’Accordo, gli Stati si sono impegnati a mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto della soglia di +2°C rispetto al periodo preindustriale, e di sforzarsi di non superare la soglia di +1.5°C. Quello che emerge è che a questo scopo le emissioni globali di CO2 dovrebbero essere azzerate entro il 2050.
Ma quindi a che punto siamo?
Le emissioni italiane si sono ridotte solamente del 17% rispetto al 1990. Le riduzioni maggiori peraltro sono state legate all’esternalizzazione dei settori produttivi e soprattutto alla crisi economica del 2008, tanto che nel 2015 le emissioni sono nuovamente cresciute leggermente e da allora sono rimaste tendenzialmente stabili.
Di certo la comunità scientifica è d’accordo su una cosa: “Presto sarà troppo tardi”. Oggi come allora, le richieste della comunità scientifica sono le stesse: ridurre le emissioni di gas e controllare il buco dell’ozono, abbandonare l’utilizzo di combustibili fossili, frenare la deforestazione, evitare il collasso della biodiversità, evitare la distruzione di interi ecosistemi o habitat e tenere sotto controllo la sempre minor disponibilità di acqua dolce.
Molte di queste problematiche ambientali si stanno di gran lunga aggravando e i fenomeni legati ai cambiamenti climatici si stanno manifestando sotto i nostri occhi.
In questi giorni gli occhi del mondo intero sono puntati sull’emergenza #Covid19 e le relative ripercussioni sulla società e sul clima: la polarizzazione del dibattito sulla pandemia però non deve farci dimenticare che c’è un virus che avvelena e uccide da molto più tempo del #coronavirus e che bisogna continuare a lavorare per il clima e il nostro Pianeta.
La giustizia climatica non può restare un grido inascoltato della società civile ma deve diventare un punto fisso nelle agende politiche mondiali: non abbiamo un altro pianeta da distruggere.
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