Oggi i cambiamenti climatici rappresentano una crisi ambientale collettiva e globale, e minacciano il godimento dei diritti fondamentali dell’individuo quali il diritto alla vita, alla vita familiare, all’ambiente salubre, alla salute ed altri. Tra di essi, va ricompreso anche il diritto (di ultima generazione) ad un clima sicuro.

Con questa consapevolezza diverse associazioni, comitati e realtà sociali, in uno a diversi individui, hanno deciso di intraprendere un giudizio mai intentato prima in Italia, tramite cui chiamare in causa lo Stato per inadempienza rispetto alle politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici con conseguente violazione di alcuni diritti fondamentali.

Questo giudizio è accompagnato da una campagna di sensibilizzazione intitolata “Giudizio Universale”; la campagna è volta al sostegno ed alla promozione di tale azione legale e s’inserisce a pieno nel solco di altre “climate litigation” portate avanti in diversi paesi europei e negli Stati Uniti. Di recente, un caso per molti aspetti simile al “Giudizio Universale” che si è celebrato in Olanda è culminato con una sentenza di accoglimento: infatti la Corte di Appello dell’Aja ha condannato lo Stato olandese a tagliare le emissioni al fine di perseguire una politica climatica più efficace.

Formalmente la causa sarà promossa da associazioni e comitati, cittadini e genitori in rappresentanza dei figli e delle generazioni future. I ricorrenti, sostanzialmente, opereranno nella veste di “difensori dei diritti umani” e saranno assistiti da un team legale composto da avvocati e docenti universitari e precisamente dall’Avv. Luca Saltalamacchia, esperto di tutela dei diritti umani e ambientali, dall’Avv. Raffaele Cesari, esperto di Diritto civile dell’ambiente, insieme al Prof. Michele Carducci, dell’Università del Salento, esperto di Diritto climatico.

La premessa su cui si basa “Giudizio Universale” è che le acquisizioni scientifiche condivise, proprio perché non controverse, vincolano gli Stati e costituiscono un parametro di verifica della loro condotta, sia a livello internazionale che nazionale. Pertanto se lo Stato si discosta da tempi, limiti e modalità stabiliti a livello internazionale e suffragati dalla scienza condivisa, deve dimostrare di agire sulla base di proprie evidenze scientificamente accessibili e verificabili, in grado di rassicurare i cittadini sul buon esito delle sue decisioni.

I ricorrenti rivendicano il rispetto di alcuni diritti fondamentali ma anche di diritti più specifici, come quello a essere informati sulle basi scientifiche che orientano le decisioni dello Stato, nonché il diritto umano al clima sicuro, ovvero il diritto a pretendere che le azioni attuali dello Stato garantiscano uno spazio operativo sicuro, di medio e lungo periodo, di controllo e stabilità dei cambiamenti climatici.

L’azione, quindi, non ha affatto un valore meramente simbolico, ma mira ad ottenere un modo nuovo di agire dello Stato, più attento ai diritti umani dei cittadini verso l’ambiente, il clima e le generazioni future, in ottemperanza alle obbligazioni che lo Stato ha in tal senso per effetto della Costituzione, degli accordi internazionali e delle norme di rango nazionale.