La metafora del tempo non è certamente nuova alle narrazioni sui cambiamenti climatici. Ma quanti di voi hanno mai sentito l’espressione “orologio dell’Apocalisse”? Ad usarla stavolta non sono né i Maya né Nostradamus.
Il “Doomsday Clock”, è stato immaginato da un comitato di scienziati, ricercatori ed esperti di geopolitica dell’Università di Chicago, autori del Bulletin of Atomic Scientists, una rivista sui livelli di vulnerabilità della sicurezza globale, con particolare riguardo al nucleare e ad altre armi di distruzione di massa. In sostanza, si tratta di un orologio-bomba che conta alla rovescia quanti minuti simbolicamente restano a disposizione del pianeta, o meglio dell’umanità, per evitarne la totale distruzione.
Consultando la timeline degli aggiornamenti che periodicamente vengono effettuati in base a fatti o eventi ritenuti più significativi, è possibile non solo visualizzare come si sono spostate le lancette ma anche individuare le ragioni che hanno concorso nel tempo alle loro oscillazioni.
Dal 1947, anno zero dell’esperimento e fino al 1953 si è passati da 7 a 2 minuti rimanenti, a causa del susseguirsi di test nucleari che minavano lo stato di calma apparente in cui il mondo post-bellico si cullava; durante gli anni Sessanta si sono prima guadagnati e poi persi almeno 5 minuti, passando dal Trattato sulla messa a bando parziale degli esperimenti nucleari fino all’esplosione della guerra in Vietnam e del conflitto indo-pakistano e sebbene gli stessi anni si concludano con l’adesione di gran parte degli Stati del mondo al Trattato di non proliferazione del nucleare, i minuti rimanenti sono tornati nuovamente a ridursi nei decenni successivi. La corsa affannosa ad imporsi quali giocatori strategici di un eterno risiko ha finito per rendere il tema del controllo delle armi nucleari una specie di campagna propagandistica. Ed infatti, dopo il breve sospiro di sollievo che ha spinto fino a 17 i minuti mancanti alla mezzanotte, data la fine della Guerra Fredda, il tempo ha continuato inesorabilmente a ridursi. Ma con alcune novità.
I cambiamenti climatici e la paura di non riuscire ad affrontarli o di non essere abbastanza protetti dai governi ha contribuito a ridurre drasticamente il tempo che manca alla “fine del mondo”. Sebbene si stia diffondendo una maggiore consapevolezza grazie alle proteste di massa che soprattutto nel corso del 2019 hanno portato nelle piazze del mondo milioni di persone, il meccanismo politico di fondo non cambia: gli “sforzi” della comunità istituzionale sono ancora molto lontani dal cogliere la sfida. Al di là dei discorsi, scarse sono tuttora le misure atte a limitare le emissioni di CO2, nonostante si stia assistendo a ondate di calore da record, estinzioni di massa e scioglimento accelerato dei ghiacciai. Si pensi ad esempio all’astensione degli Usa dall’Accordo sul Clima di Parigi, allo smantellamento della normativa ambientale in Brasile, alla vaghezza degli obblighi previsti dalla CoP25 di Madrid e all’aumento dello sfruttamento delle fonti fossili.
Mancano 100 secondi alla mezzanotte e nonostante l’attivazione a livello globale, il Doomsday Clock conferma il trend dell’ultimo Global Risk Report, in cui le prime 5 cinque minacce maggiormente percepite riguardano tutte l’ambiente e il suo stato di salute. L’annuncio del Doomsday Clock per il 2020, avvenuto lo scorso 23 Gennaio durante una conferenza stampa a Washington, è stato affidato alle parole di Rachel Bronson, presidente e Ceo del Bulletin, secondo cui la decisione di avvicinare alla mezzanotte le lancette del Doomsday Clock sta a significare che l’umanità è più vicina che mai alla sua fine: stiamo assistendo all’epoca più pericolosa che l’uomo abbia mai vissuto e il superamento dell’antropocene, ovvero la fine della civiltà umana è una reale e vicinissima possibilità.
Questa è la sfida del futuro e non possiamo tirarci indietro! Nell’attesa che leader politici e governi mettano in campo azioni serie ed impegnate per il clima, la società civile si riunisce sempre più spesso in quello che sembra essere lo strumento perfetto per rivendicare il diritto a vivere in un ambiente sano: le Climate Litigation. Più di mille quelle attive, una causa vinta in Olanda e una in Italia in fase di preparazione.
Cittadini, medici e associazioni, uniti per mettere in campo il cambiamento di cui il mondo ha bisogno.
Abbiamo ancora solo 100 secondi.